In “Essere Ricardo Montero” Gianfranco Pecchinenda racconta di un omicidio ai tempi di Facebook
LO SCRITTORE E IL SUO DOPPIO: UN GIALLO PSICOLOGICO
Nella sua ultima prova narrativa il Preside della Facoltà di Sociologia affronta un tema caro alla letteratura contaminandolo con gli argomenti dei suoi studi e con le nuove tecnologie
articolo di Bianca de Fazio su LA REPUBBLICA- Napoli 03/11/2012
Gioca sull’identità e sulla
doppiezza dell’io l’ultima prova narrativa di Gianfranco Pecchinenda, docente
di sociologia della conoscenza alla Federico II e preside della facoltà di
Sociologia.
Un tema caro alla letteratura, specie
a quella del secolo scorso.
Un tema che Pecchinenda contamina
con gli argomenti dei suoi studi, con le nuove tecnologie della comunicazione,
in particolare.
E l’identità del soggetto diventa
l’abusato profilo su Facebook.
Più di uno, perché le identità
possibili online sono quante si ha la pazienza di costruirsene, o quanto
qualcun altro ne costruisce per conto del soggetto.
Profili talmente credibili,
talmente “vivi” nonostante si tratti di una vita immaginaria, da considerare
omicidio la soppressione di uno di essi, la cancellazione di un profilo.
Un omicidio attorno al quale
investigare, nel libro di Pecchinenda, che è infatti anche un giallo. Un giallo
psicologico. Il colpevole? Appena scontato che si tratti dell’autore stesso. Il
breve (94pagine) romanzo di Pecchinenda si intitola “Essere Ricardo Montero” e
Montero protagonista della prima parte, racconta la sua scelta di essere
scrittore: più difficile da scegliere che da essere. Perché si tratta di una
decisione, quella d’essere scrittore, « radicale e
assoluta ». Essere scrittore, scrive Pecchinenda, «significa obbligarsi a stare soli, seduti e in silenzio ...
nel momento in cui uno si è convinto di essere uno scrittore ha più della metà
del cammino già fatta» .
Questo Pecchinenda dice nella
finzione letteraria, mentre nella realtà spiega che «la
decisione di mettermi alla prova come scrittore scaturisce dalla convergenza di
due diversi percorsi. Il primo è legato al mio mestiere di ricercatore e
docente di Sociologia. A lungo andare i miei tentativi di spiegazione dei
comportamenti umani si sono quasi naturalmente incontrati con le geniali
intuizioni derivanti dalla letteratura e dalle grandi narrazioni artistiche. Il
secondo percorso è legato invece a motivazioni di carattere più personale: la
scomparsa di mio padre mi ha a un certo punto dato una sorta di scossa
portandomi a decidere di provare a oggettivare le mie riflessioni ( e se
vogliamo anche il mio sentire più intimo) nella scrittura. A partire da allora
ho cominciato a sentirmi uno scrittore, e a vivere, pensare e agire quanto tale».
Così il doppio è anche quello che
si sceglie, non solo il profilo “letto” dagli altri, e, nel caso di Pecchinenda,
la finzione letteraria diventa realtà quando ribadisce: «Chi
vuole fare lo scrittore, essere uno scrittore, deve innanzitutto inventarsi “un
altro”, un individuo che si assumerà il dovere di scrivere le sue opere» e pazienza
se di quell’altro si finirà «prima o poi per diventare schiavi».
Difficile distinguere, letto il libro, le parole del Pecchinenda autore da
quelle del suo Ricardo Montero.
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