venerdì 1 giugno 2012

SE IL SOCIOLOGO DIVENTA ROMANZIERE


Pecchinenda in «Essere Ricardo Montero» denuncia la crisi dell'analisi scientifica.
Il libro riflette
sull'Io e il doppio
nell'era
tecnologica
Ricardo Montero ha due padri e 500 pagine on line dedicate al suo nome.
Personaggio in crisi d'identità, vive uno sfasamento esistenziale, proprio come il suo autore. Chi dei due sia più reale è difficile a dirsi: perchè Gianfranco Pecchinenda del suo primo primo romanzo Essere Ricardo Montero (Lavieri editore, pagine 96, euro 8,90) si muove sul confine tra realtà e immaginazione, tanto da affidare anche la postfazione, ad un personaggio letterario, tale Augusto Pérez (protagonista di Nebbia dello scrittore spagnolo Miguel de Unamuno).
Il libro è una parentesi sulla breve vita di Montero, sulle sue bizzarre origini, da una famiglia di italiani emigrati in Argentina, e sull'epilogo, quasi inevitabile, per volontà del suo autore.
Ma la storia di Montero è un pretesto per parlare del rapporto tra l'io e il suo doppio, con continue digressioni, sul senso dell'esistenza, sul rapporto con le origini e con i propri «padri», modelli di vita e di scrittura.
L'assunto di fondo è che in ogni uomo ci sia una vita segreta e inconfessabile e che per viverla senza impazzire, occorra affidarsi alla letteratura.
Il personaggio e il suo autore hanno la stessa dignità d'esistenza, perchè alla lunga «tutto diventa memoria, e dunque tutto si trasforma in narrazione, in intrecci più o meno complessi di prodotti dell'immaginazione ai quali accordiamo, a seconda dei casi, un maggiore o minore grado di realtà», scrive Pecchinenda, alla sua seconda prova letteraria, dopo L'ombra più lunga. Tre racconti sul padre (Colonnese 2009).
Sociologo e preside della facoltà di Sociologia della Federico II, Pecchinenda sembra trasporre in letteratura i temi cari alla sua analisi sociologica, con una forma ibrida di narrazione, a metà tra il saggio e il romanzo, e dando prova di abilità di scrittura.
«E' come se fossi arrivato a un punto in cui l'analisi scientifica», spiega,«risulta insufficiente a spiegare il comportamento e la costruzione dell'identità nell'età contemporanea, soprattutto per le trasformazioni legate alle nuove tecnologie. Parlare del doppio è un pretesto per cercare di spiegare a me stesso, con un altro linguaggio, questioni irrisolvibili con la saggistica. In più c'è anche una passione per la scrtittura narrativa».
La memoria, il tempo, la morte, sono gli argomenti-chiave del libro come pure della ricerca dello studioso, che si è spesso occupato di sociologia della narrazione. E ora che afferma:«Da qualche anno tendo a fare lo scrittore. Se ci riuscirò o meno mi è abbastanza indifferente. Quel che per me conta, è l'approccio diverso, che mi da più stimoli e maggiore soddisfazione. Scrivere è un modo per conoscersi, e io mi riconosco moltissimo in Ricardo Montero».
Anche se ricorda molto da vicino i personaggi pirandelliani, a ispirarlo è stato Emmanuel Bove, «il più grande tra gli scrittori francesi sconosciuti», ritratto in copertina del libro, che a sua volta riprende quella di un testo dello spagnolo Enrique Vila-Matas, il dottor Pasavento: Bove è stato un precursore dell'esistenzialismo. In lui ci sono tutti i temi che mi appassionano, prima di tutto quello dell'autoanalisi di sé come se fosse un altro, e poi i problemi dell'autoconoscenza, dell'auto-riflessione, della solitudine dell'io nella contemporaneità, con la difficoltà di costruire i rapporti al di la dei ruoli assegnati nella societài».

da "il Mattino" 7 gennaio 2012 articolo DI IDA PALISI

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